Il datore di lavoro può seguirci sui social network come Instagram? Ecco cosa bisogna sapere al riguardo.
I social network sono una finestra sul mondo che ci permette di vedere tutto ciò che accade intorno a noi, condividendo anche i nostri pensieri, foto, video e ogni genere di contenuto che desideriamo. È innegabile che, ormai, facciano pienamente parte delle nostre vite, dandoci la possibilità di tenerci in contatto con amici, parenti, conoscenti e non solo. Ma cosa succede quando piattaforme come Instagram si mescolano col mondo del lavoro? Il nostro datore può seguirci e controllare i post che pubblichiamo?

In Italia – e, più in generale, nell’Unione Europea – esistono diverse leggi a tutela della privacy dei lavoratori. Tra le normative principali possiamo citare il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, il Codice della Privacy e lo Statuto dei Lavoratori, in particolare l’articolo 4. Un datore di lavoro interessato ai profili social dei suoi dipendenti dovrebbe essere a conoscenza dei limiti previsti dalla legge. Allo stesso tempo, i lavoratori dovrebbero sapere quali sono i rischi di un utilizzo improprio delle piattaforme online.
In quali casi il datore di lavoro può controllare i social dei dipendenti e prendere provvedimenti
Partiamo col mettere in chiaro che il datore di lavoro non può assolutamente “spiare” i dipendenti sui social mettendo in atto forme di sorveglianza occulta o sistematica, come confermato dal Garante per la Privacy e dalla giurisprudenza italiana. Eppure ci sono delle eccezioni che dovremmo conoscere: nessuna legge impedisce al datore di vedere i post accessibili a tutti dal profilo pubblico di un dipendente, come può fare qualsiasi altro utente.

Le informazioni condivise sui social, però, non possono essere usate per controllare a distanza l’attività del dipendente (art. 4 dello Statuto dei lavoratori) o per sanzionarlo. A meno che ci sia un collegamento diretto tra quanto pubblicato e il contesto lavorativo. Se il dipendente pubblica informazioni riservate o dannose per l’azienda, insulti o diffamazioni verso i colleghi o la stessa impresa, oppure ancora contenuti in contrasto con giustificazioni personali (per esempio postando una foto ad un concerto dopo aver detto di essere malato), il datore di lavoro è autorizzato a prendere provvedimenti.
È importante che il procedimento disciplinare rispetti il vincolo di proporzionalità e che tenga sempre e comunque conto del diritto alla privacy dei dipendenti. Il datore di lavoro, quindi, può agire solamente se il dipendente mette in atto comportamenti online che ledono all’azienda in modo grave. Ciò che non è permesso è controllare sistematicamente i post o le chat dei lavoratori, creare profili falsi per seguire i loro account privati e usare informazioni “rubate” o ottenute senza il consenso dei diretti interessati.